In una notte febbrile

in una notte febbrile

Bene e male. Uno dei primi concetti che nell’infanzia vengono insegnati alle giovani anime è l’idea del giusto e dello sbagliato. Da questa base partiamo verso uno sviluppo cognitivo basato sulla legge degli opposti: dolce – salato, alto – basso, buono – cattivo e infiniti altri ancora. Questo genera una visione estremamente riduttiva della realtà in quanto si riduce uno spicchio di realtà al semplice essere qualcosa di contrario a ciò che viene designato come suo diretto antagonista. Definendo due principi come ad esempio buono e cattivo sembra che nulla si possa manifestare sulla terra che non possa essere incamerato in uno di questi principi. La cosa che ha colpito di più la mia attenzione è la contrapposizione che viene fatta tra guerra e pace. Per me è impossibile pensare che la pace sia semplicemente l’assenza di guerra. La pace è molto di più. La pace è uno stato di coscienza che nasce dalla profonda consapevolezza della propria realtà interiore in relazione a quella esteriore e, quindi, alla percezione che non c’è differenza tra il dentro e il fuori se non un punto di vista soggettivo e mai assoluto.

Se io sono in giardino e tu in casa, io sono fuori dalla casa ma tu sei fuori dal giardino quindi dentro e fuori cambia in base a dove ci posizioniamo. Difatti mentre meditiamo facciamo un percorso che ci porta in profondità dentro di noi e al contempo fa espandere la nostra coscienza all’infinito. Cosa ci dice questo? Ci dice che tutto ciò che noi vediamo al di fuori è anche dentro di noi e quindi se raggiungiamo la vera pace all’interno di noi stessi l’armonia che portiamo verrà ritrovata anche all’esterno come nostro riflesso in un fenomeno chiaramente soggettivo.

Non volendo parlare solo di pace vorrei fare un riferimento alla saggezza dei capi indiani d’America. Essi dicevano infatti che il guerriero non è colui che combatte e uccide in quanto nessun uomo ha il diritto di prendere la vita di un’altro,  il guerriero è colui che sacrifica la propria vita per i deboli, colui che caccia per sfamare vecchi, donne e bambini.

Una visione al quanto lontana dalla nostra che valuta il grande guerriero non dalla nobiltà dell’atto ma dalla sua capacità più o meno sviluppata di uccidere senza essere ucciso. Troppo spesso ci limitiamo a giudicare un gesto secondo concetti morali che abbiamo sviluppato o ci sono stati inculcati nel corso della vita dimenticando che il valore di un azione non è nel gesto di per se ma nella consapevolezza con cui quel gesto viene svolto. La guerra intesa come atto consapevole non è male ma di solito chi compie atti consapevoli non ha bisogno di una guerra per sistemare le cose. Rischiamo però di ricadere nella frammentazione della realtà per opposti  valutando le azioni come consapevoli o inconsapevoli. Ci può essere davvero un’azione inconsapevole? In Natura di certo no, ma nell’uomo? Abbiamo solo un modo per scoprirlo, abbandonare idee preconfezionate e lasciare tanto spazio vuoto in noi. Tanto o quanto meno abbastanza da contenere una nuova consapevolezza.

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