Qual è la prigione?

piedi in catene

Nel conversare con le persone che incontro nel mio lavoro e nella vita noto come sia molto pronunciata, in questo periodo storico la sensazione di essere in trappola. Chi non sposa fideisticamente un partito politico, una religione o il pensiero dominante, si sente come stretto in una morsa che giorno dopo giorno limita sempre più la sua libertà di scelta. Fare un elenco sarebbe semplice quanto inutile, sembra comunque evidente la progressiva privazione di diritti basilari dell’individuo collegati principalmente alla libertà di scelta.

Chiusi in questa morsa, pur liberi di muoversi negli spazi, di andare in vacanza, di uscire con gli amici, di comprare gli ultimi modelli di iPhone, anche in tutto questo, si percepisce un nodo che ci fa sentire in gabbia. Per alcuni questo è insopportabile, per altri solo un’impercettibile nota di fondo che si manifesta in rari momenti di solitudine che possono tempestivamente esser messi a tacere collegandosi a Facebook, ma questo non cambia il fatto che quel nodo è li, pronto a farsi sentire.

Vi siete mai chiesti perché avete quella sensazione? Vi siete mai chiesti da dove arriva?

Di solito il primo tentativo di risposta parte dalla ricerca di una situazione della nostra vita che non ci soddisfa. Fin troppo facile trovare una scusa, dal micro al macro abbiamo infinite possibilità. Dal vicino di casa rumoroso all’industria chimica che avvelena il pianeta, per non parlare del maltrattamento degli animali, dei bambini di Aleppo, della questione degli immigrati, gli attentati nelle capitali europee e chi più ne ha più ne metta.
E’ davvero facile giustificare il nostro stato di sofferenza, insoddisfazione e frustrazione attraverso le situazioni che ci circondano, infondo il mondo sta andando a rotoli, avremo anche il diritto di sentirci sopraffatti!

E se invece fosse solo una scusa? O peggio, se tutte quelle situazioni angoscianti fossero solo un sintomo della condizione umana?

Provate per un attimo a spostare il focus dall’esterno all’interno di voi stessi.
Osservate come quel disagio sia li indipendentemente da ciò che avviene nella vostra vita, gli eventi esterni possono solo amplificarlo o attenuarlo. Raggiungo un obbiettivo, la sensazione diminuisce coperta dalla gioia; non raggiungo il mio obbiettivo, la frustrazione aumenta. Tutto resta sempre una sensazione all’interno di noi, prodotta da noi. Un evento esterno non può creare frustrazione senza la nostra frustrazione innata come la terra e la pioggia non possono dare frutti senza un seme, è quindi il seme che portiamo dentro di noi a determinare la pianta che crescerà grazie alle piogge.

Sembrerebbe una situazione senza vie d’uscita se non fosse che il seme ha bisogno anche di un terreno fertile per crescere, ed il terreno fertile per le nostre angosce è dato dal rifiuto di questo disagio, dalla paura della sofferenza e dall’attaccamento a tutto ciò che ci appaga.
Nel nostro ideale la vita dovrebbe essere una linea retta che non conosce ostacoli o imprevisti e non ci accorgiamo che in realtà la vita è l’insieme di ostacoli e imprevisti. Nella mia vita tutte le cose migliori sono avvenute attraverso un imprevisto.

A questo punto vi chiedo: qual è la prigione?
E se fosse l’idea che abbiamo di come dovrebbero essere le cose?

Il rifiuto sistematico di un principio più grande che agisce attraverso le nostre azioni e simultaneamente al di la di esse. Un principio che è sempre stato e sempre sarà, prima e dopo dell’uomo, che nel suo delirio di onnipotenza non si accorge di essere solo una comparsa all’interno della manifestazione dell’universo.

Ciò che vediamo come squilibrio è solo un passaggio necessario per il raggiungimento di un migliore equilibrio.
E’ quindi nello squilibrio stesso che si manifesta la natura dell’EQUILIBRIO ASSOLUTO che non consiste in una staticità nell’ipotetica perfezione ma nel riconoscere la perfezione in ciò che sembra essere un dinamico caos.

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